martedì 24 aprile 2012

The Big BANG Theory...


Il Bang è una Metafora, è la caratteristica chiave del progetto, dalla quale si sviluppano altri aspetti, un sistema di regole che motivano gli schemi compositivi.
In Villa dall'Ava il Bang è la decomposizione ma anche il movimento dell'uomo nello spazio, proprio come era avvenuto in Ville Savoye, non solo come movimento dentro e attraverso lo spazio ma anche come alternanza tra l'essere in movimento e lo stare fermo. Allo stesso modo la rampa non funge solo da collegamento tra un ambiente e un altro ma connette tra loro spazi che sono armoniosamente messi in equilibrio tra loro stessi. Essa offre circolazione, spostamenti (soprattutto verticali) e vedute, controllati attentamente dalla mano e dalla mente di un architetto capace di gestire lo spazio e i rapporti tra i pieni e i vuoti. La promenade inizia nel sentiero a zig zag tra i pilastrini al piano terra. Prosegue, nell’ingresso relativamente striminzito e poi nell’ambiente pavimentato di marmo nero che ha come unica funzione quella
di essere uno spazio. L’esigua cucina, trova posto dietro una parete curva di plastica traslucida che arricchisce la successione degli ambienti conferendo loro dinamicità. E’ uno spazio processionale, un percorso iniziatico. La promenade è breve e non rivela nulla, se non il soggiorno, che appare come un acquario che si apre sul giardino. Gli spazi si susseguono in modo rapido.
Il Bang del mio progetto nasce da questa villa; dalla "passeggiata architettonica" di cui tanto aveva parlato Le Corbusier che si concretizza ancora una volta in un capolavoro d'architettura, connette tutti gli spazi e conduce il visitatore ad osservare ciò che l'architetto vuole che osservi. "Giocando" con i volumi mi sono resa conto che quello centrale, vetrato e di forma trapezoidale, poteva essere letto come uno spiraglio di luce, come un cannocchiale, studiandolo meglio sono arrivata a trovare il Bang del mio progetto: IL TUNNEL!
Partendo dal presupposto che lo spiraglio di luce implicitamente contiene in sé anche il concetto di buio, e che la parola Tunnel viene dalla locuzione tu nel (buio) mi sono trovata a riflettere su cosa il buio potesse suscitare agli occhi del visitatore. Il buio suscita paura e timore in modo quasi naturali: il buio avvolge e non mostra, rimane un luogo sconosciuto nel quale brancolare senza meta. Ma il tunnel è portatore non solo di buio, ma anche di luce e la luce è sinonimo di conoscenza e sapere, dunque, perché non incentrare il mio progetto su un tunnel?? un tunnel che percorra gli spazi della produzione vinicola, e che educhi i visitatori alla cultura del vino.

lunedì 23 aprile 2012

ScAcCChiEEEraAaaA....


Analisi e Riassunto del libro Architettura e Modernità


Santiago Calatrava
Calatrava nasce nel 1951 a Valencia e nella città Spagnola segue corsi d’arte e si laurea alla Facoltà di Architettura nel 1973. Successivamente decide di spostarsi dalla Spagna e di andare al Politecnico di Zurigo per fare studi di Ingegneria civile. Calcolo e conoscenza tecnica, per lui, sono necessità di approfondimento di una vocazione che è tutta artistica. Calatrava prima ancora di essere costruttore è scultore, nella scultura Torus del 1985 due cubi si appoggiano asimmetricamente sulla punta di altrettanti coni e sono tenuti in posizione da tiranti. Sono volumi sospesi nello spazio che formano una composizione staticamente controllata. Nell’aeroporto di Bilbao e nella stazione di Lione ritroviamo lo stesso mondo espressivo del Torus, ma segnano allo stesso tempo un punto di innovazione nel panorama internazionale. L’opera di Calatrava ha solo un’apparente somiglianza all’opera di architetti che in questo periodo fanno parte dell’High Tech, nel caso di Calatrava i materiali sono tradizionali ma vi è una costante ricerca plastica che fa tesoro proprio del suo essere scultore prima che architetto. Nella stazione Stadelhofen la sovrapposizione di piani e il progressivo alleggerimento dei materiali e delle strutture è pensato come elemento tipico dell’edificio.
L’amore per le strutture vegetali e anatomiche è la linfa delle sue creazioni, perché i rami degli alberi e gli scheletri degli esseri viventi sono strutture che si muovono. Egli è infatti un grande innovatore su un tema così centrale e nuovo, quello del movimento delle strutture. Nel padiglione Swissbau a Basilea crea una composizione di costole incernierate lungo un muro in cemento armato con alcuni dischi la cui rotazione si ripercuote nel movimento ascendente e discendente delle costole. L’amore per la natura, e dunque per le sue strutture vegetali e anatomiche, si ritrovano anche nell’ampliamento del museo d’arte di Milvwaukee e nella grande sala planetario caratterizzata da una palpebra semovente nella Città della Scienza a Valencia.

Planetario,Città della Scienza, Valencia

Stazione Stadelhofen, Zurigo

Rem Koolhaas
Nel 1977 pubblica il libro chiave del suo lavoro Delirious New York con cui scruta la metropoli americana con un algido occhio calvinista. L’analizza per come è e per come vi si possa operare.  Frammentazione e simbolismo, elementi del surrealismo e insieme delle esperienze dell’architettura radicale, echi sul lavoro, sulla città di Venturi e Scott Brown formano una sorta di sceneggiatura discontinua. Il principio di base della sua lettura urbana è l’accettazione del principio sommatorio e additivo che dal capitale economico si trasmette alle regole formative della città. Nel 1995 pubblica in nuovo volume S,M,L,XL che è una reinterpretazione del motto : “dal cucchiaio alla città”.
Koolhaas realizza la Villa dell’Ava a Parigi basandosi su una serie di principi analitici che staccano i vari corpi e le parti del programma che sono i medesimi che usa anche per l’importante masterplan per l’Euralille. L’idea del progetto di Euralille è quella di avere una grande piastra inclinata, una sorta di nuova piazza attorniata da edifici e grattacieli e da un intrigante progetto sotterraneo che progetta lui stesso. Nella sala multimediale dell’università di Utrecht pensa ad un unico gesto con cui risolvere struttura e forma, interno ed esterno, un segno a serpentina che muovendosi nello spazio fa solaio e parete.
Ma l’opera che assume maggiore rilevanza è sicuramente la Casa Floirac a Bordeaux del 1998. L’architetto, che si confronta per questo progetto con un cliente diversamente abile, lavora al tema, affronta la crisi e vi dà un’innovativa soluzione. Invece di progettare una rampa, decide che sia una parte della casa che si debba muovere. Un’ampia parte del solaio si solleva e si abbassa su un pistone idraulico: il proprietario può così ritirarsi a lavorare nei piani alti oppure partecipare alla vita domestica negli altri due livelli. Naturalmente quest’idea cambia il modo di concepire gli spazi domestici, ed è proprio questo concept che darà forza al progetto. Koolhaas si afferma con quest’opera come uno degli architetti più forti di questi anni e i suoi progetti successivi lo confermeranno.
Euralille

 Euralille
Euralille

Villa Floirac, Bordeaux

Nuove trasparenze e superfici profonde
Emergono negli anni ’90 due opere che determinano nuovi parametri del progettare.
Jean Nouvel lavora dagli anni ’70 del Novecento e già a metà degli anni ’80 ha costruito l’importante edificio per l’Istituto del mondo arabo a Parigi. Si tratta un edificio dove due corpi creano spazi interni e relazioni urbane interessanti. Ma è con la fondazione Cartier che Nouvel  affronta un tema veramente nuovo. Il largo uso del vetro e di superfici trasparenti potrebbero, a prima vista, far associare l’edificio a una applicazione dei canoni del funzionalismo, mentre in realtà questa architettura ne costituisce il superamento. La trasparenza in particolare, rappresenta in architettura quanto di più vicino potesse esserci a un’affermazione spaziale pura, oggettiva, logico-analitica, “scientifica”. Per la prima volta la trasparenza non è più legata all’allusività dei media e alla pluralità pervasiva e volutamente ambigua dei messaggi contemporanei.  Se la trasparenza da elemento oggettivo diventa soggettivo essa è anche “iper” contestuale, può diventare addirittura personalizzabile attraverso un ulteriore strato elettronico.
Herzog e De Meuron sviluppano un interesse verso la ricerca dei molti strati di significato che il tema della superficie degli edifici può nascondere. Come la pelle di un essere rivela inaspettate profondità emotive, caratteriali, storiche, psicologiche così la superficie esterna può essere un vero e profondo campo di studio. Per esaltare questa componente gli architetti ricorrono molto spesso nelle loro opere ad elementi scatolari. L’opera che rivela Herzog e de Meuron è la Cabina di manovre ferroviarie rivestita di rame, realizzata a Basilea nel 1994. Questa opera è l’opposto della trasparenza di Nouvel. La luce non è più rivelazione del mondo ma è portatrice di messaggi continuamente mutevoli.
 Istituto del mondo arabo, Parigi
 Istituto del mondo arabo, Parigi 
Fondazione Cartier, Parigi
Cabina per manovre ferroviarie, Basilea


Spazi nuovi
L’architettura in questa fase non nasce più pura, nuova e sola, ma si incunea, attraversa e viene attraversata dall’esistente. Una delle opere degli anni novanta che più vivamente definisce questo concetto è il Centro Le Fresnoy completato da Bernard Tschumi nella Francia nord-occidentale. L’edificio si propone come Bauhaus del XXI secolo. A le Fresnoy, senza tralasciare il carico di rimandi all’arte, Tschumi scopre una nuova potenzialità degli spazi interstiziali. La novità nasce dal fatto che non studia la planimetria ma si basa sulle sezioni. Affascinato dalla potenzialità interne create dalle capriate delle vecchie fabbriche, decide di non abbattere i fabbricati ma vi sovrappone una nuova copertura che li riunisce sotto un unico manto. Lo spazio tra il metallico nuovo tetto e quelli esistenti costituiti da laterizio , è intensamente abitato da camminamenti, da entrate, da aule nei sottotetti e anche da luoghi per stare o assistere ad avvenimenti.
Centro Le Fresnoy,  Tourcoing

Centro Le Fresnoy,  Tourcoing

Tratto da: “Architettura e modernità, dal Bauhaus alla rivoluzione informatica”, Carocci Editore, cap. 28, pagg.366 e sgg.

Villa dall`ava, Rem Koolhaas - Animación 3DS max - MEARQ

LENTE D’INGRANDIMENTO … VILLA DALL’AVA, REM KOOLHAAS


Due ville, due rampe, due percorsi












Famoso ma poco amato, Koolhaas nella sua carriera ha capito che occorre stupire, provocare e Villa dall’Ava ne è dimostrazione con le sue mille denunce fatte dai vicini di casa contrari a quell’accostamento di immagini e materiali appartenenti a mondi conflittuali e apparentemente incompatibili. Nonostante Villa dall’Ava, completata nel 1991, sia distante cronologicamente dal Villa Savoye, risulta esserlo meno dal punto di vista concettuale e della formazione dello spazio dell’edificio.
A causa dell’inclinazione del terreno, Villa Dall’Ava, risulta incassata in esso. Il vero pianterreno infatti è al piano superiore (primo piano), allo stesso livello della parte alta del giardino. L’architetto sceglie di non creare grandi fronti che si sviluppano in verticale e che possono ostacolare la continuità visuale del dislivello del terreno. Il gioco di disgregazione e ricostruzione, decostruzione e aggregazione inizia al pianterreno. Per quanto riguarda gli spazi e le forme volumetriche potremmo affermare che la sagoma di questa villa degli anni ‘90 richiama alla mente “una Villa Savoye aggressiva e malandata”.
Lo spazio che l’architetto olandese raccoglie nella sua casa di vetro, semplice e chiaro in apparenza, è invece complesso, segnato da percorsi inaspettati e vedute accidentali (o previste?): ciò porta allo sconcerto e alla curiosità per uno spazio inusuale, governato dalle esigenze e dalle abitudini della società moderna. Tale spazio diventa specchio di una cultura sociale in cui, per esempio, genitori e figli devono possedere ambienti completamente separati con accessi diversi e preservati da privacy differenti.
Villa Dall’Ava si organizza in un corpo longitudinale delimitato alle estremità da due corpi trasversali, impostati su pilotis. L’ingresso pedonale principale è riparato e delimitato superiormente dal primo volume trasversale. Il volume longitudinale è costituito da un muro in cemento armato, da un basamento con rivestimento in pietra e grandi superfici vetrate nei fronti verso il giardino privato. I volumi trasversali sono rivestiti invece da lamiera grecata e possiedono grandi finestre a nastro. Il corpo longitudinale di forma leggermente trapezoidale rappresenta il centro della casa, la zona giorno, con la cucina e il living.  Il volume giorno costituisce il trait d’union tra gli ambienti notte, per altro accessibili in maniera completamente indipendente attraverso due scale collocate nelle due distinte zone notte.
Villa Dall’Ava incarna, in un certo senso, il fantastico metropolitano, il desiderio di diversità sociale. E’ la proiezione architettonica di un immaginario. Un camminamento esterno aereo unisce i due volumi trasversali creando un percorso panoramico. Accanto al percorso esterno quindi ecco la piscina, esigenza espressa chiaramente dalla committenza, che rappresenta l’altro luogo “pubblico” della casa insieme al camminamento all’aperto e alla zona living al piano di sotto. Il corpo longitudinale perciò unisce e contemporaneamente divide: collega i volumi ma separa allo stesso tempo le utenze e i livelli di privacy. Come Villa Savoye, il tetto è sede delle attività di svago. La zona giorno e la zona notte si articolano attorno alla grande terrazza scoperta e al vano di distribuzione verticale, centrale rispetto all’intero impianto distributivo. L’unica marginale differenza è rappresentata dall’assenza sul tetto di Saint Cloud, di muretti e ringhiere che avrebbero disturbato la purezza dei volumi scatolari; il rischio di precipitare giù è scongiurato da una fascia di bandoni plastici arancioni disposti a formare un recinto di forma libera quasi a non dimenticare le lineari balaustre lecorbuseriane che racchiudono il tetto di Villa Savoye e che sembra vogliano preservare il visitatore da un contatto troppo diretto e non controllato con il contesto.


L’architetto francese diceva che “l’architettura araba ci fornisce una preziosa lezione. La si apprezza in movimento, a piedi: è camminando, muovendosi attorno che si vedono svilupparsi gli strumenti ordinativi dell’architettura” ed è proprio Villa Savoye che mette in pratica tale piano. Il movimento dell’uomo nello spazio diventa la principale guida di una nuova e differente architettura, non solo come movimento dentro e attraverso lo spazio ma anche come alternanza tra l’essere in movimento e lo stare fermo. Nello stesso modo la rampa non conduce solamente da un ambiente all’altro ma connette tra loro spazi che sono armoniosamente messi in equilibrio tra loro stessi. Essa offre circolazione, spostamenti, soprattutto verticali e vedute, controllati attentamente dalla mano e dalla mente di un architetto capace di governare lo spazio e i rapporti pieni/vuoti.
In scala ridotta ciò avviene anche a Saint Cloud, la promenade inizia nel sentiero a zig zag tra i pilastrini al piano terra. Prosegue, nell’ingresso relativamente striminzito e poi nell’ ambiente pavimentato di marmo nero che ha come unica funzione quella di essere uno spazio. L’esigua cucina, trova posto dietro una parete curva di plastica traslucida che arricchisce la successione degli ambienti conferendo loro dinamicità. E’ uno spazio processionale, un percorso iniziatico. Gli spazi si susseguono in modo rapido. 





mercoledì 11 aprile 2012

Compagni di Strada...secondo round

EDF ARCHIVE CENTRE, Lan Architect, Bure, Francia


“Per l’archivio centrale dell’EDF, lo studio parigino LAN Architecture ha realizzato un edificio che si inserisce positivamente nel paesaggio rispettando gli standard di qualità ambientale e integrandosi nel contesto”.

I progettisti hanno disposto le funzioni principali (l’archivio e gli uffici) in modo semplice e razionale risolvendo i problemi derivanti dall’estensione complessiva dell’archivio, 70 km lineari di scaffali, e le esigenze di inerzia termica a cui l’edificio deve assolvere. Gli uffici sono orientati verso Nord Ovest, sfruttando un pendio naturale del territorio con alberi e piante, una posizione che permette di godere di una splendida vista sul paesaggio circostante. La monoliticità della  costruzione, lata cinque piani, è mediata da una  soluzione tecnica, successivamente brevettata, l’inserimento di borchie in acciaio inox nei casseri del cemento. Le borchie riflettono i colori della natura circostante e il cambio delle stagioni restituendo un’immagine lieve pur nella compattezza del volume complessivo. I pannelli sono di 15,65m di altezza e di 2,26m o 2,33m di larghezza a seconda se sono sul lato corto o lungo dell’edificio. I pannelli sono di 8 cm di spessore e sono rafforzati con nervature in cemento. Il complesso sarà distanziato dalle pareti in c. a. e tenuto in posizione mediante martinetti di distanziamento. I prospetti hanno uno spessore totale di 68cm. Il processo di costruzione della facciata è stato oggetto di un brevetto. Per me è stato molto interessante vedere come sono state trattate le facciate, osservare il modo come queste interagiscano con l’ambiente circostante, conferendo all’edificio quel senso di immaterialità che le caratterizza. Alcune foto molto interessanti si possono vedere su edf archives centre.


MUSEO DEL MEDITERRANEO, Zaha Hadid, Reggio Calabria



Si chiama “Regium Waterfront” il progetto realizzato dall’Archistar Zaha Hadid. Dedicato alla città italiana di Reggio Calabria come capitale della cultura, sarà sede di un Museo di Storia del Mediterraneo e di un Centro d’Arti dello Spettacolo. L’intero complesso affaccerà sul mare vicino allo stretto di Messina. Inimitabile, bello e funzionale, il design degli edifici si ispira alle forme organiche di una stella marina. Il Museo di storia del Mediterraneo ospiterà spazi espositivi, laboratori di restauro, un archivio, in acquario e una biblioteca, mentre il Centro d’Arti dello Spettacolo sarà uno spazio multifunzionale con tre ali circostanti e una “piazza” parzialmente coperta. In aggiunta ai 3 Auditorium, la struttura ospiterà gli uffici amministrativi del Museo, una palestra, laboratori di artigianato locale, negozi e un cinema. Il costo complessivo dell’opera si aggira intorno ai 25 milioni di Euro, ed occuperà una superficie totale di 13362mq. Il percorso museale, consente di organizzare un circuito espositivo chiaro ed esaustivo e in grado di raggiungere i diversi padiglioni e le funzioni accessorie in modo intuitivo. Le aperture delle corti interne sono realizzate in c. a. e costituiscono un sistema strutturale fondamentale, riducendo le luci libere degli ampi spazi interni. Queste garantiscono il passaggio della luce naturale dall’esterno, illuminando le diverse aree funzionali che sono distribuite radialmente intorno ad esse. Allo stesso tempo queste aperture interne sono spazi per esposizioni all’aperto e importanti camini per il raffrescamento e la ventilazione naturale dell’edificio.


SUNWELL MUSE, Takato Tamagami, Tokyo, Giappone


L’edificio “Sunwell Muse” in un primo momento dà l’impressione di una “gola” che spezza la struttura dell’edificio. Secondo gli autori del progetto la nuova sede della società tessile giapponese doveva essere l’espressione metaforica della bellezza femminile. Questa architettura si sviluppa in un’area di 221mq, e nasce dalla collaborazione dello studio di architettura Be-Fun Design e l’architetto giapponese Takato Tamagami. I cinque piani in c.a. comprendono gallerie e spazi per uffici dell’azienda, laboratori di fabbricazione e aree dedicate alla vendita all’ingrosso e al dettaglio.  La figura femminile emerge dalle due pareti curvilinee interne, impostate in maniera tale da indurre i visitatori in tutti e 5 i piani. Il complesso da un’apparente sensazione di “freddo”, determinata dagli ambienti esterni, si apre in un segreto calore interno.

Ulteriori foto e curiosità: Sunnwell muse by takato tamagami


Un luogo a me caro...


CASTRUM PETRE ROSETI, Roseto Capo Spulico



È lì, imponente e maestoso, pur se conserva nei tratti agilità e snellezza dovute alle sue torri longilinee che, addossate l’una alle altre, gli conferiscono una forma armoniosa e gradevole alla vista. Nella sua silenziosa solitudine, incute timore e rispetto nello stesso tempo, e sembra assolva ancora la sua antica funzione di vedetta a difesa della costa. Ed ora il vecchio maniero, dopo aver assolto la sua funzione secolare, è lì, arroccato su una gigantesca rupe, a testimoniare concretamente secoli di storia.





LA STORIA

Durante la seconda guerra mondiale i tedeschi distrussero molti documenti dell’archivio di stato di Napoli, ci sono dunque, per quanto riguarda il periodo medievale del Regno delle Due Sicilie, dei larghi vuoti per quanto riguarda la storia medioevale. La prima notizia certa dell’esistenza del Castrum Petre roseti è quella del 1269, relativa alla sommossa delle popolazioni calabresi contro gli Angioini ed alla raccolta delle balestre nel castello. Il Castrum Petre Roseti fu costruito dunque tra il 1220, anno in cui cominciò a governare Federico II, ed il 1269 anno in cui risulta già esistente e se ne hanno le prime notizie. In questo arco di tempo si succedettero nel Regno delle Due Sicilie: Federico II e Manfredi che regnò fino al 1266. Soltanto Federico II e Manfredi hanno avuto il tempo di farlo costruire. Si propende a credere che Federico II ne decretò la costruzione, in quanto nei trent’anni del suo regno dotò le coste di moltissime fortificazioni, inserendolo quindi in un complesso e adeguato sistema difensivo della costa a salvaguardia della pace e della tranquillità del suo regno. Della grande importanza difensiva del castello dovette convincersi Carlo I d’Angiò, che nel febbraio del 1271 vi passò proveniente da Cosenza e vi si fermò senza dubbio. Ed è questo il motivo per cui, come apprendiamo da ordinanze emanate dallo stesso Carlo I d’Angiò, il Castrum Petre mantiene intatto il suo Presidio.