lunedì 30 aprile 2012
martedì 24 aprile 2012
The Big BANG Theory...
Il Bang è una Metafora, è la caratteristica chiave del progetto, dalla quale si sviluppano altri aspetti, un sistema di regole che motivano gli schemi compositivi.
In Villa dall'Ava il Bang è la decomposizione ma anche il movimento dell'uomo nello spazio, proprio come era avvenuto in Ville Savoye, non solo come movimento dentro e attraverso lo spazio ma anche come alternanza tra l'essere in movimento e lo stare fermo. Allo stesso modo la rampa non funge solo da collegamento tra un ambiente e un altro ma connette tra loro spazi che sono armoniosamente messi in equilibrio tra loro stessi. Essa offre circolazione, spostamenti (soprattutto verticali) e vedute, controllati attentamente dalla mano e dalla mente di un architetto capace di gestire lo spazio e i rapporti tra i pieni e i vuoti. La promenade inizia nel sentiero a zig zag tra i pilastrini al piano terra. Prosegue, nell’ingresso relativamente striminzito e poi nell’ambiente pavimentato di marmo nero che ha come unica funzione quella
di essere uno spazio. L’esigua cucina, trova posto dietro una parete curva di plastica traslucida che arricchisce la successione degli ambienti conferendo loro dinamicità. E’ uno spazio processionale, un percorso iniziatico. La promenade è breve e non rivela nulla, se non il soggiorno, che appare come un acquario che si apre sul giardino. Gli spazi si susseguono in modo rapido.
Il Bang del mio progetto nasce da questa villa; dalla "passeggiata architettonica" di cui tanto aveva parlato Le Corbusier che si concretizza ancora una volta in un capolavoro d'architettura, connette tutti gli spazi e conduce il visitatore ad osservare ciò che l'architetto vuole che osservi. "Giocando" con i volumi mi sono resa conto che quello centrale, vetrato e di forma trapezoidale, poteva essere letto come uno spiraglio di luce, come un cannocchiale, studiandolo meglio sono arrivata a trovare il Bang del mio progetto: IL TUNNEL!
Partendo dal presupposto che lo spiraglio di luce implicitamente contiene in sé anche il concetto di buio, e che la parola Tunnel viene dalla locuzione tu nel (buio) mi sono trovata a riflettere su cosa il buio potesse suscitare agli occhi del visitatore. Il buio suscita paura e timore in modo quasi naturali: il buio avvolge e non mostra, rimane un luogo sconosciuto nel quale brancolare senza meta. Ma il tunnel è portatore non solo di buio, ma anche di luce e la luce è sinonimo di conoscenza e sapere, dunque, perché non incentrare il mio progetto su un tunnel?? un tunnel che percorra gli spazi della produzione vinicola, e che educhi i visitatori alla cultura del vino.
lunedì 23 aprile 2012
Analisi e Riassunto del libro Architettura e Modernità
Santiago Calatrava
Calatrava nasce nel 1951 a Valencia e nella città Spagnola
segue corsi d’arte e si laurea alla Facoltà di Architettura nel 1973. Successivamente
decide di spostarsi dalla Spagna e di andare al Politecnico di Zurigo per fare
studi di Ingegneria civile. Calcolo e conoscenza tecnica, per lui, sono
necessità di approfondimento di una vocazione che è tutta artistica. Calatrava
prima ancora di essere costruttore è scultore, nella scultura Torus del 1985
due cubi si appoggiano asimmetricamente sulla punta di altrettanti coni e sono
tenuti in posizione da tiranti. Sono volumi sospesi nello spazio che formano
una composizione staticamente controllata. Nell’aeroporto di Bilbao e nella
stazione di Lione ritroviamo lo stesso mondo espressivo del Torus, ma segnano
allo stesso tempo un punto di innovazione nel panorama internazionale. L’opera
di Calatrava ha solo un’apparente somiglianza all’opera di architetti che in
questo periodo fanno parte dell’High Tech, nel caso di Calatrava i materiali
sono tradizionali ma vi è una costante ricerca plastica che fa tesoro proprio
del suo essere scultore prima che architetto. Nella stazione Stadelhofen la
sovrapposizione di piani e il progressivo alleggerimento dei materiali e delle
strutture è pensato come elemento tipico dell’edificio.
L’amore per le strutture vegetali e anatomiche è la linfa
delle sue creazioni, perché i rami degli alberi e gli scheletri degli esseri viventi
sono strutture che si muovono. Egli è infatti un grande innovatore su un tema
così centrale e nuovo, quello del movimento delle strutture. Nel padiglione
Swissbau a Basilea crea una composizione di costole incernierate lungo un muro
in cemento armato con alcuni dischi la cui rotazione si ripercuote nel
movimento ascendente e discendente delle costole. L’amore per la natura, e
dunque per le sue strutture vegetali e anatomiche, si ritrovano anche
nell’ampliamento del museo d’arte di Milvwaukee e nella grande sala planetario
caratterizzata da una palpebra semovente nella Città della Scienza a Valencia.
Planetario,Città della Scienza, Valencia
Stazione Stadelhofen, Zurigo
Rem Koolhaas
Nel 1977 pubblica il libro chiave
del suo lavoro Delirious New York con
cui scruta la metropoli americana con un algido occhio calvinista. L’analizza
per come è e per come vi si possa operare.
Frammentazione e simbolismo, elementi del surrealismo e insieme delle
esperienze dell’architettura radicale, echi sul lavoro, sulla città di Venturi
e Scott Brown formano una sorta di sceneggiatura discontinua. Il principio di
base della sua lettura urbana è l’accettazione del principio sommatorio e
additivo che dal capitale economico si trasmette alle regole formative della
città. Nel 1995 pubblica in nuovo volume S,M,L,XL
che è una reinterpretazione del motto : “dal cucchiaio alla città”.
Koolhaas realizza la Villa
dell’Ava a Parigi basandosi su una serie di principi analitici che staccano i
vari corpi e le parti del programma che sono i medesimi che usa anche per
l’importante masterplan per l’Euralille. L’idea del progetto di Euralille è
quella di avere una grande piastra inclinata, una sorta di nuova piazza
attorniata da edifici e grattacieli e da un intrigante progetto sotterraneo che
progetta lui stesso. Nella sala multimediale dell’università di Utrecht pensa
ad un unico gesto con cui risolvere struttura e forma, interno ed esterno, un
segno a serpentina che muovendosi nello spazio fa solaio e parete.
Ma l’opera che assume maggiore
rilevanza è sicuramente la Casa Floirac a Bordeaux del 1998. L’architetto, che
si confronta per questo progetto con un cliente diversamente abile, lavora al
tema, affronta la crisi e vi dà un’innovativa soluzione. Invece di progettare
una rampa, decide che sia una parte della casa che si debba muovere. Un’ampia
parte del solaio si solleva e si abbassa su un pistone idraulico: il
proprietario può così ritirarsi a lavorare nei piani alti oppure partecipare
alla vita domestica negli altri due livelli. Naturalmente quest’idea cambia il
modo di concepire gli spazi domestici, ed è proprio questo concept che darà
forza al progetto. Koolhaas si afferma con quest’opera come uno degli architetti
più forti di questi anni e i suoi progetti successivi lo confermeranno.
Euralille
Euralille
Euralille
Villa Floirac, Bordeaux
Nuove trasparenze e superfici profonde
Emergono negli anni ’90 due opere che determinano nuovi
parametri del progettare.
Jean Nouvel lavora dagli anni ’70 del Novecento e già a metà
degli anni ’80 ha costruito l’importante edificio per l’Istituto del mondo
arabo a Parigi. Si tratta un edificio dove due corpi creano spazi interni e
relazioni urbane interessanti. Ma è con la fondazione Cartier che Nouvel affronta un tema veramente nuovo. Il largo
uso del vetro e di superfici trasparenti potrebbero, a prima vista, far
associare l’edificio a una applicazione dei canoni del funzionalismo, mentre in
realtà questa architettura ne costituisce il superamento. La trasparenza in
particolare, rappresenta in architettura quanto di più vicino potesse esserci a
un’affermazione spaziale pura, oggettiva, logico-analitica, “scientifica”. Per
la prima volta la trasparenza non è più legata all’allusività dei media e alla
pluralità pervasiva e volutamente ambigua dei messaggi contemporanei. Se la trasparenza da elemento oggettivo
diventa soggettivo essa è anche “iper” contestuale, può diventare addirittura
personalizzabile attraverso un ulteriore strato elettronico.
Herzog e De Meuron sviluppano un interesse verso la ricerca
dei molti strati di significato che il tema della superficie degli edifici può
nascondere. Come la pelle di un essere rivela inaspettate profondità emotive,
caratteriali, storiche, psicologiche così la superficie esterna può essere un
vero e profondo campo di studio. Per esaltare questa componente gli architetti
ricorrono molto spesso nelle loro opere ad elementi scatolari. L’opera che
rivela Herzog e de Meuron è la Cabina di manovre ferroviarie rivestita di rame,
realizzata a Basilea nel 1994. Questa opera è l’opposto della trasparenza di
Nouvel. La luce non è più rivelazione del mondo ma è portatrice di messaggi
continuamente mutevoli.
Istituto del mondo arabo, Parigi
Istituto del mondo arabo, Parigi
Fondazione Cartier, Parigi
Cabina per manovre ferroviarie, Basilea
Spazi nuovi
L’architettura in questa fase non nasce più pura, nuova e
sola, ma si incunea, attraversa e viene attraversata dall’esistente. Una delle
opere degli anni novanta che più vivamente definisce questo concetto è il
Centro Le Fresnoy completato da Bernard Tschumi nella Francia nord-occidentale.
L’edificio si propone come Bauhaus del XXI secolo. A le Fresnoy, senza
tralasciare il carico di rimandi all’arte, Tschumi scopre una nuova
potenzialità degli spazi interstiziali. La novità nasce dal fatto che non
studia la planimetria ma si basa sulle sezioni. Affascinato dalla potenzialità
interne create dalle capriate delle vecchie fabbriche, decide di non abbattere
i fabbricati ma vi sovrappone una nuova copertura che li riunisce sotto un
unico manto. Lo spazio tra il metallico nuovo tetto e quelli esistenti
costituiti da laterizio , è intensamente abitato da camminamenti, da entrate,
da aule nei sottotetti e anche da luoghi per stare o assistere ad avvenimenti.
Centro Le Fresnoy, Tourcoing
Centro Le Fresnoy, Tourcoing
Tratto da: “Architettura
e modernità, dal Bauhaus alla rivoluzione informatica”, Carocci Editore, cap.
28, pagg.366 e sgg.
LENTE D’INGRANDIMENTO … VILLA DALL’AVA, REM KOOLHAAS
Due ville, due rampe, due percorsi
Famoso ma poco amato, Koolhaas nella sua carriera ha capito
che occorre stupire, provocare e Villa dall’Ava ne è dimostrazione con le sue
mille denunce fatte dai vicini di casa contrari a quell’accostamento di
immagini e materiali appartenenti a mondi conflittuali e apparentemente
incompatibili. Nonostante Villa dall’Ava, completata nel 1991, sia distante
cronologicamente dal Villa Savoye, risulta esserlo meno dal punto di vista
concettuale e della formazione dello spazio dell’edificio.
A causa dell’inclinazione del terreno, Villa Dall’Ava,
risulta incassata in esso. Il vero pianterreno infatti è al piano superiore
(primo piano), allo stesso livello della parte alta del giardino. L’architetto
sceglie di non creare grandi fronti che si sviluppano in verticale e che
possono ostacolare la continuità visuale del dislivello del terreno. Il gioco
di disgregazione e ricostruzione, decostruzione e aggregazione inizia al pianterreno.
Per quanto riguarda gli spazi e le forme volumetriche potremmo affermare che la
sagoma di questa villa degli anni ‘90 richiama alla mente “una Villa Savoye aggressiva
e malandata”.
Lo spazio che l’architetto olandese raccoglie nella sua casa
di vetro, semplice e chiaro in apparenza, è invece complesso, segnato da
percorsi inaspettati e vedute accidentali (o previste?): ciò porta allo
sconcerto e alla curiosità per uno spazio inusuale, governato dalle esigenze e
dalle abitudini della società moderna. Tale spazio diventa specchio di una
cultura sociale in cui, per esempio, genitori e figli devono possedere ambienti
completamente separati con accessi diversi e preservati da privacy differenti.
Villa Dall’Ava si organizza in un corpo longitudinale delimitato
alle estremità da due corpi trasversali, impostati su pilotis. L’ingresso
pedonale principale è riparato e delimitato superiormente dal primo volume
trasversale. Il volume longitudinale è costituito da un muro in cemento armato,
da un basamento con rivestimento in pietra e grandi superfici vetrate nei
fronti verso il giardino privato. I volumi trasversali sono rivestiti invece da
lamiera grecata e possiedono grandi finestre a nastro. Il corpo longitudinale
di forma leggermente trapezoidale rappresenta il centro della casa, la zona
giorno, con la cucina e il living. Il
volume giorno costituisce il trait d’union tra gli ambienti notte, per altro
accessibili in maniera completamente indipendente attraverso due scale
collocate nelle due distinte zone notte.
Villa Dall’Ava incarna, in un certo senso, il fantastico
metropolitano, il desiderio di diversità sociale. E’ la proiezione
architettonica di un immaginario. Un camminamento esterno aereo unisce i due
volumi trasversali creando un percorso panoramico. Accanto al percorso esterno
quindi ecco la piscina, esigenza espressa chiaramente dalla committenza, che
rappresenta l’altro luogo “pubblico” della casa insieme al camminamento
all’aperto e alla zona living al piano di sotto. Il corpo longitudinale perciò
unisce e contemporaneamente divide: collega i volumi ma separa allo stesso
tempo le utenze e i livelli di privacy. Come Villa Savoye, il tetto è sede
delle attività di svago. La zona giorno e la zona notte si articolano attorno
alla grande terrazza scoperta e al vano di distribuzione verticale, centrale
rispetto all’intero impianto distributivo. L’unica marginale differenza è
rappresentata dall’assenza sul tetto di Saint Cloud, di muretti e ringhiere che
avrebbero disturbato la purezza dei volumi scatolari; il rischio di precipitare
giù è scongiurato da una fascia di bandoni plastici arancioni disposti a
formare un recinto di forma libera quasi a non dimenticare le lineari balaustre
lecorbuseriane che racchiudono il tetto di Villa Savoye e che sembra vogliano
preservare il visitatore da un contatto troppo diretto e non controllato con il
contesto.
L’architetto francese diceva che “l’architettura araba ci
fornisce una preziosa lezione. La si apprezza in movimento, a piedi: è
camminando, muovendosi attorno che si vedono svilupparsi gli strumenti
ordinativi dell’architettura” ed è proprio Villa Savoye che mette in pratica
tale piano. Il movimento dell’uomo nello spazio diventa la principale guida di
una nuova e differente architettura, non solo come movimento dentro e
attraverso lo spazio ma anche come alternanza tra l’essere in movimento e lo
stare fermo. Nello stesso modo la rampa non conduce solamente da un ambiente
all’altro ma connette tra loro spazi che sono armoniosamente messi in
equilibrio tra loro stessi. Essa offre circolazione, spostamenti, soprattutto
verticali e vedute, controllati attentamente dalla mano e dalla mente di un
architetto capace di governare lo spazio e i rapporti pieni/vuoti.
In scala ridotta ciò avviene anche a Saint Cloud, la promenade
inizia nel sentiero a zig zag tra i pilastrini al piano terra. Prosegue,
nell’ingresso relativamente striminzito e poi nell’ ambiente pavimentato di
marmo nero che ha come unica funzione quella di essere uno spazio. L’esigua
cucina, trova posto dietro una parete curva di plastica traslucida che
arricchisce la successione degli ambienti conferendo loro dinamicità. E’ uno
spazio processionale, un percorso iniziatico. Gli spazi si susseguono in modo
rapido.
mercoledì 11 aprile 2012
Compagni di Strada...secondo round
EDF ARCHIVE CENTRE, Lan Architect, Bure, Francia
“Per l’archivio centrale dell’EDF, lo
studio parigino LAN Architecture ha realizzato un edificio che si inserisce
positivamente nel paesaggio rispettando gli standard di qualità ambientale e
integrandosi nel contesto”.
I
progettisti hanno disposto le funzioni principali (l’archivio e gli uffici) in
modo semplice e razionale risolvendo i problemi derivanti dall’estensione
complessiva dell’archivio, 70 km lineari di scaffali, e le esigenze di inerzia
termica a cui l’edificio deve assolvere. Gli uffici sono orientati verso Nord
Ovest, sfruttando un pendio naturale del
territorio con alberi e piante, una posizione che permette di godere di una
splendida vista sul paesaggio circostante. La monoliticità della costruzione, lata cinque piani, è mediata da
una soluzione tecnica, successivamente
brevettata, l’inserimento di borchie
in acciaio inox nei casseri del cemento. Le borchie riflettono i colori
della natura circostante e il cambio delle stagioni restituendo un’immagine
lieve pur nella compattezza del volume complessivo. I pannelli sono di 15,65m
di altezza e di 2,26m o 2,33m di larghezza a seconda se sono sul lato corto o
lungo dell’edificio. I pannelli sono di 8 cm di spessore e sono rafforzati con
nervature in cemento. Il complesso sarà distanziato dalle pareti in c. a. e
tenuto in posizione mediante martinetti di distanziamento. I prospetti hanno
uno spessore totale di 68cm. Il processo di costruzione della facciata è stato
oggetto di un brevetto. Per me è stato molto interessante vedere come sono state
trattate le facciate, osservare il modo come queste interagiscano con l’ambiente
circostante, conferendo all’edificio quel senso di immaterialità che le
caratterizza. Alcune foto molto interessanti si possono vedere su edf archives centre.
MUSEO DEL MEDITERRANEO, Zaha Hadid, Reggio Calabria
Si chiama “Regium
Waterfront” il progetto realizzato dall’Archistar Zaha Hadid. Dedicato alla
città italiana di Reggio Calabria come capitale della cultura, sarà sede di un
Museo di Storia del Mediterraneo e di un Centro d’Arti dello Spettacolo. L’intero
complesso affaccerà sul mare vicino allo stretto di Messina. Inimitabile, bello
e funzionale, il design degli edifici si ispira alle forme organiche di una
stella marina. Il Museo di storia del Mediterraneo ospiterà spazi espositivi,
laboratori di restauro, un archivio, in acquario e una biblioteca, mentre il
Centro d’Arti dello Spettacolo sarà uno spazio multifunzionale con tre ali
circostanti e una “piazza” parzialmente coperta. In aggiunta ai 3 Auditorium,
la struttura ospiterà gli uffici amministrativi del Museo, una palestra,
laboratori di artigianato locale, negozi e un cinema. Il costo complessivo dell’opera
si aggira intorno ai 25 milioni di Euro, ed occuperà una superficie totale di
13362mq. Il percorso museale, consente di organizzare un circuito espositivo
chiaro ed esaustivo e in grado di raggiungere i diversi padiglioni e le
funzioni accessorie in modo intuitivo. Le aperture delle corti interne sono
realizzate in c. a. e costituiscono un sistema strutturale fondamentale,
riducendo le luci libere degli ampi spazi interni. Queste garantiscono il
passaggio della luce naturale dall’esterno, illuminando le diverse aree
funzionali che sono distribuite radialmente intorno ad esse. Allo stesso tempo
queste aperture interne sono spazi per esposizioni all’aperto e importanti
camini per il raffrescamento e la ventilazione naturale dell’edificio.
SUNWELL MUSE, Takato Tamagami, Tokyo, Giappone
L’edificio “Sunwell Muse” in un primo momento dà l’impressione
di una “gola” che spezza la struttura dell’edificio. Secondo gli autori del
progetto la nuova sede della società tessile giapponese doveva essere l’espressione
metaforica della bellezza femminile. Questa
architettura si sviluppa in un’area di 221mq, e nasce dalla collaborazione
dello studio di architettura Be-Fun Design e l’architetto giapponese Takato Tamagami. I cinque piani in c.a. comprendono gallerie e spazi per uffici dell’azienda,
laboratori di fabbricazione e aree dedicate alla vendita all’ingrosso e al
dettaglio. La figura femminile emerge
dalle due pareti curvilinee interne, impostate in maniera tale da indurre i
visitatori in tutti e 5 i piani. Il complesso da un’apparente sensazione di “freddo”,
determinata dagli ambienti esterni, si apre in un segreto calore interno.
Ulteriori foto e curiosità: Sunnwell muse by takato tamagami
Un luogo a me caro...
CASTRUM PETRE ROSETI, Roseto Capo Spulico
È lì,
imponente e maestoso, pur se conserva nei tratti agilità e snellezza dovute
alle sue torri longilinee che, addossate l’una alle altre, gli conferiscono una
forma armoniosa e gradevole alla vista. Nella sua silenziosa solitudine, incute
timore e rispetto nello stesso tempo, e sembra assolva ancora la sua antica
funzione di vedetta a difesa della costa. Ed ora il vecchio maniero, dopo aver assolto
la sua funzione secolare, è lì, arroccato su una gigantesca rupe, a
testimoniare concretamente secoli di storia.
LA STORIA
Durante la
seconda guerra mondiale i tedeschi distrussero molti documenti dell’archivio di
stato di Napoli, ci sono dunque, per quanto riguarda il periodo medievale del
Regno delle Due Sicilie, dei larghi vuoti per quanto riguarda la storia
medioevale. La prima notizia certa dell’esistenza del Castrum Petre roseti è
quella del 1269, relativa alla sommossa delle popolazioni calabresi contro gli
Angioini ed alla raccolta delle balestre nel castello. Il Castrum Petre Roseti
fu costruito dunque tra il 1220, anno in cui cominciò a governare Federico II,
ed il 1269 anno in cui risulta già esistente e se ne hanno le prime notizie. In
questo arco di tempo si succedettero nel Regno delle Due Sicilie: Federico II e
Manfredi che regnò fino al 1266. Soltanto Federico II e Manfredi hanno avuto il
tempo di farlo costruire. Si propende a credere che Federico II ne decretò la
costruzione, in quanto nei trent’anni del suo regno dotò le coste di moltissime
fortificazioni, inserendolo quindi in un complesso e adeguato sistema difensivo
della costa a salvaguardia della pace e della tranquillità del suo regno. Della
grande importanza difensiva del castello dovette convincersi Carlo I d’Angiò,
che nel febbraio del 1271 vi passò proveniente da Cosenza e vi si fermò senza
dubbio. Ed è questo il motivo per cui, come apprendiamo da ordinanze emanate
dallo stesso Carlo I d’Angiò, il Castrum Petre mantiene intatto il suo
Presidio.
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